Esiste un luogo dove essere generosi con il prossimo si dimostra impastando dolci.
Nell’inverno del 1914 a Costeggiola, frazione di Soave, gli abitanti distribuivano cibo ai bisognosi. In occasione del loro patrono, Sant’Antonio Abate, quell’anno prepararono dei grossi tortelli (con uno stampo artigianale che tutt’ora si usa) ripieni di cose di recupero e cotti in brodo. Negli anni a seguire i “Rufioi” diventano dolci, ruffiani appunto perchè buoni e perchè uno tira l’altro.
Da dopo la Seconda Guerra Mondiale, la festa paesana diventa sempre più grande, la ricetta tramandata di famiglia in famiglia e nel 2004 il Rufiolo è riconosciuto prodotto agroalimentare tradizionale.
Dietro ai Rufioi di Costeggiola c’è il lavoro di una comunità che ha saputo difendere e tener viva la sua tradizione, arrivando ad impastarne fino a 4 quintali.
Fonte: Rufiolo de Costiola – Curiosando nella storia e nella tradizione – a cura di Maria Teresa Benetton ed Ernesto Santi
I dolcetti che si ottengono seguendo le varie ricette pubblicate ai nostri giorni, a parte l’ingrediente segreto, sembrano lontani da quelli che si preparavano negli anni cinquanta del Novecento. Chissà se negli odierni tipici Rufioli di Costeggiola, venduti in occasione della locale sagra di Sant’Antonio Abate, si mettono ancora pane, brodo e formaggio, ingredienti che erano allora indispensabili.
Come per il ripieno, anche per quanto riguarda la pasta esterna non c’è concordanza. In una anonima nota si legge “i Rufioi de Costeggiola si potevano preparare in due modi diversi secondo l’uso che se ne faceva. Il ripieno era sempre lo stesso ma se venivano preparati in brodo la sfoglia che li racchiudeva era quella delle tagliatelle, mentre se venivano usati come dolci la sfoglia che racchiudeva l’impasto era dolce come quella dei galani.”
Fonte: Storie di Cucine tra Val d’Illasi e Valtramigna – a cura di Daniela Noli